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A Napoli un tempo c’era “La Suprema”: storia e cosa c’è oggi al suo posto

Nel 1859, Camillo Benso Conte di Cavour, per supportare l’esercito francese alleato dei piemontesi contro l’Austria, diede il via all’apertura di celebri case di tolleranza.

Questo provvedimento aveva l’obiettivo di regolamentare e sorvegliare il servizio della prostituzione.

Gli anni successivi videro poche variazioni, finché con il regime fascista Mussolini impose la costruzione di muri alti 10 metri intorno alle case chiuse, noti come “muri del pudore“.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, con l’arrivo degli americani, si assistette a una vera e propria esplosione del mercato, con alcune donne che si offrivano anche solo per sfamarsi.

Le prostitute provenivano da varie parti della città, dalla periferia e anche dall’estero; ogni 15 giorni cambiavano postribolo per evitare che qualche cliente si infatuasse.

Quest’era fu caratterizzata dalle tammurriate nere e dalla prostituzione praticata clandestinamente nei bassifondi. Via Chiaia e i Quartieri Spagnoli erano costantemente illuminate da lanterne rosse, simbolo del piacere che fioriva a Napoli.

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Napoli, “La Suprema”: come si è evoluta nel tempo

Nel 1958, anno dell’entrata in vigore della legge Merlin, circa 900 case di appuntamenti, sparse su tutto il territorio, furono chiuse.

La senatrice socialista, Lina Merlin, autrice principale della normativa, impose la chiusura immediata delle famose case e la persecuzione penale contro lo sfruttamento della prostituzione e i reati ad essa collegati.

Oggi, al civico 216 di via Chiaia, sorge il Chiaja Hotel de Charme, ma pochi sanno che un tempo l’indirizzo ospitava la rinomata casa di piacere “La Suprema“.

Dopo anni di abbandono, un imprenditore ha deciso di acquistare l’elegante palazzo signorile per trasformarlo in un hotel.

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Nonostante i restauri, gli interni conservano ancora parati e tinte vermiglie che richiamano le atmosfere dell’epoca, insieme a una magnifica vetrata in stile liberty degli anni ’30.

Le camere portano i nomi di Nanninella ‘a Spagnola, di Mimì d’o Vesuvio, di Anastasia ‘a Friulana e Dorina da Sorrento, preservando così un frammento di storia di un’epoca ormai passata.