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A Napoli nel 1836 fu vietato il capitone a Capodanno: il motivo

Il capitone occupa un posto speciale nella tradizione culinaria napoletana, diventando un simbolo culinario e culturale che riflette l’importanza della gastronomia nella vita della città. La preparazione del capitone è una pratica radicata nelle festività natalizie a Napoli, dove diventa protagonista delle tavole imbandite durante il cenone di Capodanno.

Questo pesce, in particolare, è associato a una serie di credenze e tradizioni. La sua presenza a tavola è spesso vista come un augurio di prosperità e buon auspicio per l’anno nuovo. La ricetta tradizionale napoletana prevede la sua preparazione in umido con pomodoro, olive, pinoli e uvetta, creando un piatto ricco di sapori e simbolismi.

Il capitone diventa un’esperienza culturale, unendo il gusto del pesce di alta qualità alla simbologia di tradizioni secolari. La sua presenza nelle ricette natalizie non è solo un gesto culinario, ma un modo per celebrare la cultura e la storia di Napoli attraverso il cibo.

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Perché a Napoli venne vietato il capitone nel 1836

Il capitone sottolinea l’importanza dei legami familiari e delle tradizioni condivise. La sua preparazione spesso coinvolge generazioni, passando da nonna a madre a figlia, creando un legame intimo con il patrimonio culinario della famiglia. Tuttavia durante l’epidemia di colera del 1836 il suo consumo venne vietato.

Il colera è una malattia altamente mortale causata dal batterio Vibrio cholerae. Caratterizzata da gravi infezioni intestinali, la malattia si diffonde attraverso l’ingestione di acqua o cibo contaminati. I sintomi includono diarrea acquosa, vomito e crampi addominali, portando rapidamente a disidratazione grave.

Senza un trattamento tempestivo, il colera può portare alla morte in poche ore. Le epidemie di colera hanno causato tragedie storiche e rimangono una minaccia significativa in aree con condizioni igieniche precarie o durante situazioni di emergenza.

Nel Natale del 1836, durante l’epidemia di colera a Napoli, una canzone ammoniva: “Chi se mangia o capitone, jarrà dinto a o carrettone“.

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Nonostante il divieto di consumare il piatto tipico della vigilia, il capitone, associato a un carro che trasporta i cadaveri dei colerosi, i napoletani sfidarono il pericolo. La minaccia del colera, veicolato principalmente dall’acqua e da alimenti contaminati, non frenò il consumo del capitone, forse un modo di esorcizzare la paura.

La tradizionale dieta del capitone, composta da molluschi e pesci, contribuì al timore che questo pesce potesse diffondere la malattia. Questo episodio storico evidenzia la persistenza delle tradizioni alimentari anche in situazioni di emergenza sanitaria.