L’arco di Sant’Eligio a Napoli è una solo una delle molteplici testimonianze storiche ed architettoniche della città. Si trova nel famoso centro storico in prossimità del mercato. Tra le chiese più antiche del capoluogo partenopeo, fu costruita nel 1270 per volere di Carlo I d’Angiò.
Fu solo nel XV secolo che, accanto alla chiesa, si decise di costruire un arco che avrebbe collegato il campanile ad un edificio adiacente. L’arco in questione (strutturato su due piani) presenta importanti decorazioni con gli stemmi aragonesi. Inoltre secondo la leggenda proprio al secondo piano si trova una stanza destinata ai condannati a morte prima della pena.
Arco di Sant’Eligio: la sua incredibile storia
Come si accennava in precedenza venne edificato nel 1270 su richiesta di tre importanti mercanti francesi che dedicarono la chiesa ai santi Eligio, Dionigi e Martino. Fu solo nel 1279 che venne dedicato esclusivamente al primo. Perché si decise di costruirlo proprio in quella zona? Non si tratta di una scelta casuale: scopriamo il motivo.
Dietro questa decisione c’era, infatti, la volontà di costruire la chiesa in un luogo che aveva guadagnato nel tempo una brutta reputazione: mi riferisco al brutale accadimento del 1268 in cui il re ordinò l’esecuzione di Corradino di Svevia. Proprio per questo motivo si sentiva la necessità di rinnovare l’area.
Nel corso degli anni sono stati effettuati diversi interventi di restauro sia sulla chiesa che sull’arco, specialmente in seguito agli ingenti danni subiti durante i bombardamenti del marzo del 1943. Entrambi furono nuovamente ripristinati come le linee primitive gotiche (dell’epoca) avevano sancito.
Cosa narra la leggenda?
Di straordinaria importanza è l’arco che presenta al primo piano un orologio: al di sotto dello stesso sono state scolpite due teste che raffigurano Irene Malarbi e Antonello Caracciolo – protagonisti di una delle leggende più famose del Cinquecento italiano.
Si narra, infatti, che l’uomo – considerato un nobile senza scrupoli – si fosse innamorato perdutamente della giovane vergine e che la donna avesse opposto continuamente resistenze. Per punirla decise di far condannare ingiustamente il padre della ragazza e quest’ultima in cambio della sua liberazione acconsentì al matrimonio.
Nonostante il padre ottenne la sua libertà, la famiglia decise di rivolgersi alla figlia di Federico II d’Aragona per ottenere giustizia. Giustizia che non fu fatta, perché la povera Irene non solo dovette sposare Caracciolo, ma successivamente fu condannata a morte per decapitazione.