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“Chi se mangia o capitone…”. Capodanno a Napoli, il motto durante il colera

In una città come Napoli durante il periodo delle feste di Natale, la tavola imbandita diventa una vera e propria tela che racconta le storie del passato. Questa particolare storia ha inizio alla fine dell’ottocento, quando le famiglie più modeste erano solite mettere sulla mensa il frutto di un lungo anno di lavoro.

Nelle antiche comunità contadine, ad esempio, si valutava attentamente cosa portare in cucina e il Natale rappresentava proprio il momento ideale in cui i prodotti coltivati durante l’anno o ancora gli animali allevati, venivano apprezzati per un banchetto a dir poco speciale.

Sono molteplici gli alimenti che, specialmente nel passato, rappresentavano l’abbondanza. Tra questi la carne di maiale che viene considerata come simbolo di prosperità. E ancora, tenendo presente che nulla dovesse essere scartato, si era soliti preparare anche i salumi, i cotechini e le salsicce.

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Chi se mangia o capitone, jarrà dinto a o carrettone, il significato

Ma non finisce qui, in quanto la tradizione vedeva anche una serie di dolci che potessero adornare il banchetto delle feste e tra questi vi erano i fichi secchi, l’uva passa – entrambe erano raccolte durante la stagione e portate ad essiccare nei mesi estivi proprio per essere degustate con i parenti a Natale.

Questo comportamento è stato analizzato anche dagli storici i quali ritengono che il Natale fosse, specialmente per le comunità di cui accennato precedentemente, una sorta di festa trasgressiva dove l’abbondanza era di casa. Si mangiava senza contegno e senza dover lesinare sulle porzioni.

Con molta fatica, però, si era costretti a rinunciare ad una pietanza particolarmente gustosa e tipica della tradizione napoletana: si tratta del capitone. A tal proposito giunge in soccorso anche una canzone che dava manforte a quanto appena accennato. Chi se mangia o capitone, jarrà dinto a o carrettone”.

Occorre fare un salto indietro nella storia e ricordare che l’anno 1836 fu particolarmente nefasto per Napoli poiché segnato dal colera che imperversava in tutta la città. Il contesto di paura portò ad innumerevoli restrizioni anche dal punto di vista alimentare. Il solo vedere il capitone riportava ad immagini funeste, ossia al carro che trainava i cadaveri vittima del colera.

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Si riteneva, infatti, che ci fosse una correlazione tra le cozze e il capitone a Napoli durante la seconda metà dell’ottocento. Proprio per questo motivo entrambi i piatti – anche se appartenenti alla tradizione e fondamentale sulla tavola – vennero necessariamente aboliti per la paura che la malattia potesse prendere il sopravvento.